La realtà è una prigione. La tua mente può liberarti. (Sucker Punch)
Pensavo che avrei cambiato canale da un momento all’altro, che mi sarei annoiata nel giro di qualche minuto. Invece ho visto Sucker Punch sino alla fine e mi sono persino un po’ emozionata. Certo, sono dovuta passare sopra scene che sembravano scopiazzate da un videogioco di infima categoria, ho dovuto ignorare le mise a dir poco imbarazzanti delle protagoniste (va beh, anche Sailor Moon andava in giro a combattere il male vestita da marinaretta… deve essere una mania) e un regista che voleva esibire a tutti i costi i muscoli, la sua tecnica. Però, il messaggio centrale, l’idea di poter evadere da una situazione disperata grazie all’immaginazione, mi ha colpita e mi ha riportato alla mente anche un altro film, The Fall.
A un primo sguardo, questi due titoli non potrebbero essere più diversi, e paragonarli sembrerebbe quasi un’eresia. Sucker Punch di Zack Snyder è un tripudio di filtri, di colori, di scene in slow motion, di effetti speciali, a cui si aggiunge, per fortuna, una soundtrack adrenalica d’eccellenza. Invece, The Fall di Tarsem Singh è onirico, elegante, fluido, si avvale di splendide ambientazioni reali e ha come traccia principale una sinfonia di Beethoveen. Eppure, entrambi sono incentrati su una caduta e su un tentativo di fuga, in cui un sogno ad occhi aperti gioca un ruolo centrale.
Sucker Punch ruota attorno alla figura di Babydoll, una ragazza che è stata internata in manicomio dal suo padrino, che desidera appropriarsi del denaro lasciatole in eredità dalla madre. Babydoll cade, precipita come Alice, in una realtà infernale: entro cinque giorni, grazie alla connivenza di un viscido custode, verrà sottoposta a lobotomia, così da non poter più rappresentare una minaccia per l’uomo. Per riuscire a salvarsi, avrà bisogno di quattro oggetti, che ha visto entrando nell’ospedale psichiatrico e di un sacrificio. Inoltre, dovrà riuscire a convincere delle altre pazienti a prendere parte al suo piano.
La ragazza, per sfuggire all’incubo, si rifugia in una realtà alternativa, anzi in due: immagina di dover scappare da un bordello e di poterci riuscire grazie alla sua abilità nella danza e, allo stesso tempo, finge che ogni esibizione corrisponda a una missione speciale, ambientata in un mondo che assomiglia a un videogioco. Il film alterna così tre universi: quello del manicomio, che non rivedremo sino all’epilogo, il locale dove le ragazze mettono in scena i loro spettacoli e quello da sapore steampunk dove ogni oggetto, che servirà per l’evasione, diventa “un livello”.
Il protagonista di The Fall è uno stuntman, Roy, che dopo una rovinosa caduta, si risveglia paralizzato in un ospedale. L’attore non vuole più vivere e decide di suicidarsi: per farlo, ha bisogno di un oggetto, di un flacone di medicinale. Però, Roy non può muoversi e ha necessariamente bisogno di un complice. Decide così di coinvolgere una piccola paziente, Alexandria: come Sherazade, inizia a raccontarle una storia e le promette di finirla solo se lei gli procurerà il farmaco di cui ha bisogno. Il racconto dello stuntman finisce ben presto con il confondersi con la realtà: Alexandria e Roy diventano due dei protagonisti, così come altri personaggi che gli ruotano attorno, mentre la disperazione dell’attore tinge di colori sempre più cupi la narrazione. La bambina finisce col cadere, col farsi male, ma poi si rialza ed esige un lieto fine.
Sono due film molto diversi, ma in entrambi la fantasia diventa una chiave con cui aprire le porte una prigione. Sono incentrati sul sacrificio e su protagonisti imperfetti, segnati dalla sofferenza: Babydoll e Roy finiscono col diventare i custodi di un altro personaggio, con l’aiutarlo, ma non possono ritornare al loro precedente stato di grazia. Baby e l’attore, sono due bambole rotte, due vittime che riescono a trovare un riscatto solo nel mondo dell’immaginazione. La loro mente li trasforma in eroi capaci di sconfiggere mostri e dispotici tiranni.