Ogni scrittore è, per certi versi, un nostro compagno di viaggio, specialmente se ha messo su carta un itinerario on the road. Certo, noi lettori siamo degli accompagnatori invisibili: non possiamo interagire con l’autore. Però, se siamo dotati di una spiccata immaginazione, possiamo fingere di essere seduti sul sedile del passeggero. Questa è l’impressione che ho avuto mentre macinavo i “chilometri-pagine” di Strade blu (Einaudi, 2012), in compagnia di William Least Heat-Moon.
Il titolo del libro fa riferimento alle strade secondarie degli Stati Uniti:
Sulle vecchie cartine stradali d’America, le strade principali erano segnate in rosso e quelle secondarie in blu. Adesso i colori sono cambiati, ma subito prima dell’alba e dopo il tramonto – brevi istanti né giorno né notte – le vecchie strade restituiscono al cielo un poco del suo colore, assumendo a loro volta un’arcana tonalità blu. È l’ora in cui le strade blu hanno un fascino intenso, e sono aperte, invitanti, enigmatiche: uno spazio dove l’uomo può perdersi.
1978, Missouri. William Least Heat-Moon, un insegnante di discendenze inglesi, irlandesi e native americane, si ritrova senza lavoro né prospettive. Invece di restare fermo a contemplare i cocci della sua esistenza, decide di salire a bordo del suo furgoncino, soprannominato Dancing Ghost, e di intraprendere un viaggio circolare, da Columbia a Columbia, nella speranza di ritornare cambiato da quell’esperienza.
Viaggiare sulle Strade blu significa tenersi alla larga dalla città turistiche, perdersi in un teoria di cittadine dai nomi bizzarri, di ghost town e di centri sospesi tra passato e modernità. Chi sceglie di percorrere le vie secondarie, invece di collezionare immagini da cartolina, mette insieme una galleria di visi espressivi, segnati dalla fatica e dall’età. William Least Heat-Moon, nel corso della sua Odissea, incrocia una serie di americani comuni, ma straordinari che gli permettono di scoprire il volto più intimo di un’America minore.
Le Strade blu, invece di condurti in grandi metropoli, ti portano ad attraversare luoghi curiosi come Nameless (la città senza nome), Tennessee:
Pare che per molti anni quel piccolo insediamento sperduto sui monti non avesse avuto alcun nome. Ma un giorno il Dipartimento delle Poste comunicò agli abitanti che, se volevano la posta lassù dovevano dare un nome al villaggio per l’indirizzo della corrispondenza. La comunità si riunì al completo, ma, pur essendo in pochi, cominciarono a litigare. (…) Alla fine un tipo, stanco di discutere e per niente contento della posta che già riceveva, disse: – Al diavolo l’Ufficio Postale. Non c’è mai stato un posto senza nome come questo: perciò chiamiamolo Nameless -. E così fecero.

Oppure possono farti raggiungere eremi che ricordano l’abbazia descritta ne Il nome della rosa. Per fortuna, il Monastero dello Spirito Santo (nei pressi di Conyers, Georgia) è molto più tranquillo di quello descritto da Eco: chi si rifugia tra le sue mura aspira alla pace interiore. Un po’ di pace servirebbe di sicuro a Selma, Cuore del Sud spaccato in due dall’odio razziale.
L’Altra America descritta in questo libro è un crogiolo ribollente di identità e di culture diverse. L’integrazione si è rivelata un miraggio: i neri sono stati respinti ai margini, mentre gli indiani sono stati scacciati dalle loro terre. Eppure l’incontro di più tradizioni è una fonte di ricchezza: basta pensare ai saporitissimi piatti della cucina Cajun. Purtroppo, non tutti gli americani incontrati da Least Heat-Moon sono in grado di capirlo.
Nel corso del suo vagabondaggio, l’ex insegnante ripercorre sia le orme dei suoi antenati sia quelle di altri popoli, come i misteriosi Hopi:
Aggrappata all’orlo meridionale della Third Mesa, c’era l’antica Oraibi, forse il villaggio degli Stati Uniti ininterrottamente abitato da più tempo: chissà come, pietre e mattoni avevano retto su quell’orlo a strapiombo sin dal XII. Nel 1901 a Oraibi vivevano ottocento Hopi, e oggi alcuni resistono ancora.
Un discendente di questo popolo, il giovane Kendrick Fritz, mostra allo scrittore in fieri un simbolo, una specie di labirinto, che rappresenta la “strada della vita”:
percorsa dall’individuo attraverso la nascita, la morte e la rinascita. Essenzialmente, l’esistenza umana è una serie di viaggi (…).
La “strada della vita” conduce William Least Heat-Moon in un luogo decisamente suggestivo: la Stonehenge di Sam Hill, un monumento ai fanti sacrificati al dio pagano della guerra. In questo girotondo di pietre e di ombre, il pellegrino interpella i due numi tutelari del suo viaggio, Alce Nero e il poeta Walt Whitman, in cerca di risposte che gli permettano di comprendere il senso dei suoi vagabondaggi:
Alce Nero dice che l’uomo si perde proprio nel mondo oscuro delle ombre cangianti: un mondo in cui l’uomo può forse trovare la forza di proseguire un pochino, ma non le intuizioni profonde. E può darsi che il nostro unico dono sia l’opportunità di cercare, il fatto di non avere certezze. Può darsi che indagare, e non altro, sia il nostro retaggio.

Perciò il viaggiatore irrequieto continua a percorrere le strade blu, verso sud, verso est, verso il selvaggio West, continuando a interrogarsi sul mondo che lo circonda e a porre domande ai suoi simili. Incontra studenti, predicatori viandanti, emigrati italiani, insegnanti, ragazze scappate di casa e raccoglitori di sciroppo d’acero: volti diversi dello stesso paese, possibili risposte ai suoi quesiti.
Quando inizia a chiudere il cerchio, a riavvicinarsi al punto di partenza, Least Heat-Moon incappa anche in versioni precedenti di sé stesso. A Newport, oltre agli spettri di capitan Kidd, Benjamin Franklin e Hermann Melville, incontra anche il fantasma della sua giovinezza. Thames Street, la via che era solito percorrere, ha cambiato nome (è diventata America’s Cup Avenue) e volto. Anche il pellegrino non è più lo stesso: il labirinto di strade che ha percorso lo ha tramutato in fine conoscitore dell’animo umano, in uno scrittore.
Sarà sincera, l’autore di Strade blu non è il mio “scrittore-compagno di viaggio” preferito (non regge il confronto con Rumiz e Magris), però ha i suoi pregi: mi ha permesso di scoprire un volto inedito dell’America di fine anni Settanta e mi ha regalato una serie di incontri sorprendenti. Grazie del passaggio, mister William.
Un libro bellissimo!
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mi manca…
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Vedremo se il tuo desiderio di viaggiare ti porterà ad aggiungerlo alla wishlist ;). Buone letture!
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