
Maledizione a te, Bukowski, penso mentre me ne sto seduta al bancone di un immaginario bar di Los Angeles. Non ho mai pensato che i tuoi scritti assomigliassero a un pitale pieno di parole sozze: ho sempre prestato fede a chi ti considera un genio, ma ti ho evitato perché le serate a base di alcool, schiamazzi e sesso a volontà non fanno per me. Eppure ora stringo tra le mani una copia di Santo cielo, perché porti la cravatta? (Minimum Fax, 2003): è giunto il momento di trascorrere una nottata in tua compagnia.
Perché proprio adesso, perché proprio stasera? Perché ogni libro porta sempre a un altro libro: non appena ne finisci uno, devi chiedere al barista-libraio un altro cocktail di parole. Sul bancone, seminascosto tra i bicchieri, c’è il poemetto che mi ha spinta a venire qui, a incontrarti. In un certo senso, quel librino è un omaggio a te e alla tua Definizione della parola amore:
l’amore è una luce di
notte che si muove nella nebbial’amore è un tappo di birra
calpestato mentre si sta andando
in bagnol’amore è la chiave persa della porta di casa
quando sei sbronzo (…)
Nel giro di qualche pagina, rimango folgorata dal tuo stile essenziale, chiaro e tagliente: adesso capisco perché sei considerato come un modello da seguire per ogni aspirante copywriter. Non una parola fuori posto. Versi semplici, ma di quella semplicità che nasconde il trucco del mago: un’abilità conquistata a forza di consumarsi le dita sulla macchina da scrivere.
Mi domando se questo sia il punto di partenza ideale, se sia giusto iniziare a leggere le poesie che hai composto nell’autunno della maturità (1970-1990), senza sapere quasi niente di te. Nonostante tutto, decido di non fermarmi, di rimandare a dopo ogni approfondimento: per una volta, scelgo di lasciarmi guidare dal cuore. Voglio scoprire quali sensazioni, quali emozioni scaturiranno da una lettura più istintiva, più viscerale. D’altro canto, sei stato tu stesso a dire di voler scrivere “cose facili” e non misteriose o importanti (Gotico ed ecc).
Sei un bugiardo, Bukowski, queste parole sono importanti, brucianti: sono alcolici, inebrianti, ironici e malinconici sorsi di vita. Non conosco la tua biografia, mi ricordo a malapena di un ufficio postale, però inizio a farmi un’idea della tuo passato. In mezzo all’inchiostro, nero come le notti più inquiete, affiorano taglienti schegge di memoria (Un sorriso memorabile):
avevamo i pesci rossi che giravano in tondo in tondo
nella boccia sul tavolo vicino alle tende spesse
della vetrata e la
mamma, sempre sorridente, perché ci voleva tutti
contenti, mi diceva: “sii contento, Henry!”
e aveva ragione: è meglio essere contenti se si
può
ma papà continuava a pestare lei e me diverse volte a settimana (…)
Parole che colpiscono come pugni allo stomaco: penso in particolare a mother, isolata all’inizio di un nuovo verso, e al solitario can, smarrito nel bianco della pagina, nello spazio vuoto in cui vanno a perdersi le speranze irrealizzabili.

Nel giro di qualche poesia, il bambino infelice si trasforma in un giovane del tutto spaesato nel mondo (Dischi). Un ragazzo senza un soldo che si divide tra l’amante di turno: una ragazza, la bottiglia, la macchina da scrivere, la musica classica. Le parole e le note scivolano dentro di lui, insieme all’alcol, diventando parte di te, del Bukowski adulto.
Mentre scrivi le poesie che sto leggendo, volgi spesso lo sguardo al passato, con un po’ di malinconia: ripercorri serate febbrili e giorni “sprecati” nell’attesa che qualcuno si accorgesse del tuo genio. Qualcuno sostiene che hai “buttato via degli anni” (I media), ma tu sai che va bene così: la tua vita e la tua poetica non hanno niente a che fare con i riflettori di Hollywood. Tu non sei nato per stare in mezzo agli uomini di successo, per celebrare una Los Angeles fatta di luci scintillanti. Tu sei il cantore della notte, di una notte dilaniata e resa folle dai passi (Bracchetto).
Continuo ad assaporare le pagine di Santo cielo, perché porti la cravatta, a bruciare le ore notturne in tua compagnia, ad osservarti mentre trasformi piccoli istanti di vita in poesia (Il suo cappellino). Tu non riesci a smettere di scrivere. Io non riesco a smettere di leggere. A quanto pare, abbiamo persino qualcosa in comune: la passione per i vinti che, prima dello scacco finale, sono capaci di gesti folli e magnifici. Non mi dimenticherò di Tarzan (Dov’era Jane?), attore caduto in disgrazia, né del tuo fantino dal cuore spezzato (Un evento):
la gente non vedeva
uno che monta così
da decenni.lui è la tigre in pieno
sole.lui è ciascuno di noi
che solo
per sempre
ignora sprezzante
il
dolore.
No, i tuoi versi non sono un pitale pieno di parole sozze: le tue poesie sono geniali, universali e possono venire apprezzate persino dagli astemi. La notte volge al termine, ma ho già voglia di rileggere le tue parole, di soffermarmi su queste righe, di conoscerti meglio. Ciao, “Chinaski”, e a presto.
Per approfondire:
Direi che questa volta gli approfondimenti sono dovuti: talvolta vale la pena di “lanciarsi a testa bassa” in una lettura, senza introduzioni o preamboli, ma poi è giusto lasciare spazio alla riflessione e alle considerazioni di recensori esperti ;).
I lucidi deliri di Charles Bukowski – Homolaicus
L’irresistibile successo della (stra)ordinaria follia – Corriere.it
Anch’io non mi sono ancora avvicinata alla sua scrittura, intanto, i versi citati non mi hanno fatto tanta impressione.
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Allora temo di non essere riuscita a rendere giustizia a Bukowski (forse avrei dovuto proporli anche in lingua originale). Comunque ogni lettore ha i suoi gusti :).
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Certo, io ho solo espresso il mio parere personale, basandomi solamente su questi versi e su come hai descritto la sua persona. Sicuramente bisognerà che io legga altro ancora di lui per capire meglio di che “pasta” sia fatto 😄
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💙💙💙
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Io invece adoro soprattutto la narrativa Bukowski, ne ho parlato nel mio blog: https://alessandroraschella.com/2019/02/21/charles-bukowski/
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