Jean “mai ‘na gioia” Valjean

La biblioteca della mia città ha chiuso i battenti per qualche settimana, così, prima della chiusura, ho preso in prestito un “libro lunghetto”, capace di tenermi compagnia sino alla riapertura. La mia scelta è ricaduta su I miserabili di Victor Hugo (Einaudi, 2014). Conoscevo già la trama, anche sin troppo bene, ma la lettura mi ha comunque riservato una sorpresa: mi sono affezionata a quel povero cristo di Jean Valjean.

Prima di iniziare, due doverose premesse:

1) questo post non è tanto una recensione, quanto uno sproloquio su un personaggio

2) immagino che molti di voi abbiano già fatto la conoscenza della sventurata Fantine, dell’inflessibile Javert e del meschino Thenardier, quindi mi concederò qualche spoiler in più del solito.

Se non avete mai visto nessuno dei cento e passa adattamenti di questa storia o se siete alla ricerca di una vera e propria recensione, vi consiglio di saltare agli approfondimenti che ho inserito a fine post 🙂

Siete ancora qui? Iniziamo dal principio, ovvero dalla prefazione della mia edizione. Il traduttore Mario Picchi, che sembra più intento a scoraggiare i lettori, che a invogliarli alla lettura, sottolinea la tendenza di Hugo a pontificare su qualsiasi argomento: il predicatore s’inebria delle sue parole e, aggiungo io, rischia di sommergere il suo pubblico con una marea montante d’inchiostro.

Sì, lo scrittore ha inserito ne I miserabili una serie quasi infinita di sermoni, rallentando inesorabilmente il ritmo della narrazione. Le omelie di Hugo sono piuttosto moleste: alcune sembrano uscite dal congresso oscurantista di Verona, mentre altre non possono incontrare i gusti dei lettori moderni (a chi può interessare una disquisizione sul vecchio sistema fognario di Parigi?)

i miserabili hugo
Jean ha lo stesso sguardo allucinato del lettore che ha appena letto il centesimo predicozzo

Quando non è impegnato a lanciarsi nell’ennesima dissertazione, lo scrittore se la prende col povero ex galeotto:

Diciamo ancora una parola, su questa crudeltà. Non è tanto l’aver montato una macchina così grande e articolata sul furto d’un pane e sulle sue conseguenze (…). Non è l’aver inflitto al povero Jean Valjean un castigo mostruoso per un difetto della società, né l’averlo sottoposto a tante prove, averlo tirato fuori dal fango e avervelo ributtato, averlo processato e riprocessato, averlo fatto diventare una marionetta di bontà e di disinteresse (…). Non è neanche averlo provvisto di tanta capacità di rinunzia e di autopunizione. La crudeltà è giocarci, come fa Hugo. Lui sa benissimo come andrà a finire (…).

Anche io lo so, anzi lo sapevo da tempo. Non amo i personaggi circonfusi da un alone di santità e infallibili, ma, visto quanto è stato “torturato” dal suo autore, è impossibile non parteggiare per Jean Valjean. Durante la lettura, mi sono ritrovata, quasi senza accorgermene, a preferirlo a tutti gli altri personaggi dell’opera: Cosette è poco più di una bella bambolina; Marius è un ebete con gli occhi a cuoricino; i soci dell’ABC sono, purtroppo, carne da macello; Javert, strano a dirsi, rende di più sullo schermo che sulla carta.

Ho iniziato ad ammirare l’ex forzato, quando lo ho visto alla prova con uno dei suoi tanti dilemmi morali: mettere o non mettere a repentaglio la nuova, agiata, esistenza, per salvare un uomo che stava per venire incarcerato al posto suo. Se si fosse sacrificato immediatamente, senza indugi, non sarei riuscita a provare empatia per lui: a rendermelo “simpatico” sono stati proprio i suoi tentennamenti e la preghiera, mai espressa ad alta voce, che un incidente gli impedisse di presenziare al processo.

i miserabili
Per non parlare di questa scena…

L’ex galeotto mi ha definitivamente conquistata durante la fatidica giornata del 5 giugno 1833. Lui avrebbe potuto restarsene a casetta sua, tranquillo e beato, invece ha deciso di rischiare la pelle per tirare fuori dai guai quel mentecatto di Marius, che, per inciso, gli stava pure sulle scatole. Perché? Perché lui aveva il dovere morale di proteggere il giovane di cui Cosette, la sua protetta, si era infatuata. Povero Jean Valjean: se ti fossi precipitato al salvataggio di un genero adorato, non ti avrei stimato altrettanto. I veri eroi, si sa, sono votati al sacrificio.

Le imprese compiute dal nostro eroe mi hanno fatto venire in mente due paladini moderni: Batman e il Dodicesimo Dottore. Durante l’insurrezione, Valjean è ricorso a metodi degni del Cavaliere Oscuro per mettere fuori combattimento i soldati senza ucciderli. Quando la situazione ha iniziato a farsi insostenibile, l’ex galeotto è stato costretto a fuggire nelle fogne, portandosi dietro l’inutile e moribondo Marius: come Dodici, anche Jean ha compiuto le sue gesta without hope, without witness, without reward.

Il lettore vorrebbe vederlo ricevere una ricompensa, un premio per una vita vissuta all’insegna del “mai ‘na gioia”, ma il suo autore è più inflessibile di Javert: l’onta del pane rubato, crimine efferato, grava sul nostro povero cristo per più di 1000 pagine. Hugo è dannatamente crudele, ma chi ha letto Notre Dame de Paris e L’uomo che ride sa quanto questo scrittore sia sadico.

I miserabili è ricco di pagine memorabili ed è scritto da dio, ma senza l’aiuto di Jean Valjean non sarei mai riuscita ad uscire da questo dedalo d’inchiostro: i sermoni che dilatano a dismisura la narrazione mi hanno messa a dura prova e devo ammettere che conoscere già a menadito la trama rovina un po’ il piacere della lettura. Alla fine il povero ex galeotto si è ritrovato a sostenere, oltre al beota Marius, anche l’intero peso di questo romanzo: per fortuna ha le spalle larghe.

Per approfondire (cose serie):

Il commento di Sololibri (a qualcuno è piaciuta la digressione sulle fogne!)

La recensione de La Frusta 

Il commento di Martino Savorani 

La guida allo studio (in inglese) di Spark Notes

16 pensieri su “Jean “mai ‘na gioia” Valjean

    1. Non puoi dirlo, ma immagino il perché.
      Io a quindici anni passavo il tempo tra omicidi e tazze di tè: divoravo i romanzi della Christie. Ah, verso i tredici ho letto Guerra e pace…
      Viva la sana follia dei booklovers ;).

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  1. Mi è piaciuta moltissimo questa tua lettura – del libro, francamente, ho un ricordo che dire pesante è leggerezza. Ametto di non aver molto amato neppure il film, che per me significa dare al nostro faccia e passo di Jean Gabin.
    Non so, per colpa tua prima o poi, magari me lo rileggerò. Può essere che io l’abbia letto troppo giovane, quando, alle prese con questo tipo di strie, si ha un bel po’ di fretta e, per l’appunto, non si amano le prediche.

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    1. Le prediche di Hugo, secondo me, sono moleste ad ogni età ;).
      Sono contenta che tu abbia apprezzato questo post: quando l’ho scritto, mi sembrava sin troppo demenziale XD.
      P.S. Perché non provare (anche se può essere che tu lo abbia già letto) con “L’uomo che ride”?
      Buone letture!

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  2. Non poteva esserci descrizione più azzeccata, povero Jean Valjean, la sua vita è una sofferenza continua. Però è davvero un bellissimo personaggio, che non smette mai di prodigarsi per gli altri.
    Con Marius e Cosette avevo raggiunto livelli di non sopportazione inimmaginabili. Ma poi da dove gli era uscito fuori Orsola 😂
    E anche il sistema fognario di Parigi aveva dato il suo bel daffare. Mentre avevo apprezzato la digressione sul convento.
    Hai visto anche il musical? A me piace moltissimo. All’inizio ero rimasta un po’ delusa perché hanno dovuto tagliare un sacco e sopratutto hanno modificato leggermente il finale (mi riferisco al comportamento di Marius). Però alla fine le musiche e le canzoni trasmettono tutta l’essenza dell’opera e così è diventato uno dei miei musical preferiti ☺

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    1. Quando penso a Marius, lo immagino sempre nella versione demenziale della parodia “Barricade Boys” XD (altro che Orsola 😉 ).
      Non ho ancora visto il musical: quando è uscito non mi ispirava perché avevo visto sin troppe versioni dei “Miserabili”, ma adesso mi sta venendo voglia di recuperarlo.
      Grazie della visita e buone letture :).

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