221B Baker Street. Sono seduta alla scrivania, circondata da fogli, pennini e boccette d’inchiostro. Mi rigiro la penna tra le dita, aspettando lumi dalla mia Musa. Potreste pensare che stia per raccontarvi la storia del geniale investigatore, ideato da Arthur Conan Doyle, invece sto per parlarvi di una brillante reinterpretazione del Canone: la serie tv russa Sherlock Holmes (2013, Central Partnership) rappresenta una vera chicca per gli amanti del detective londinese.
A un primo sguardo, viene da pensare che questa fiction sia una mera scopiazzatura dei film di Guy Ritchie: titoli d’apertura ad affetto, colori freddi, vivaci musichette irlandesi e botte da orbi. Se ci concentriamo sulla sceneggiatura, possiamo notare altri punti di contatto con lo Sherlock interpretato da Robert Downey Junior: il minaccioso Moriarty è il villain principale della stagione, mentre la bella e astuta Irene Adler ricompare nel ruolo di amante/avversaria del detective.
In realtà, The New Russian Sherlock Holmes (esiste anche un’altra precedente serie russa dedicata al detective) non è una mera imitazione: il regista e sceneggiatore Andrey Kavun ha sì tratto ispirazione dai film di Ritchie, ma è anche riuscito dare vita a una personalissima rivisitazione delle avventure di Holmes. Questa fiction in otto puntate rende omaggio sia ai film del regista inglese, sia ad altre incarnazioni del mitico investigatore: Kavun era consapevole di avere alle spalle degli illustri predecessori.
Quando esistono tanti differenti adattamenti di un’opera letteraria, diventa difficile riuscire a ideare un prodotto originale. È possibile creare qualcosa di nuovo partendo da una materia già sfruttata sino alla nausea? Il segugio di Baker Street ci è stato proposto in mille e una salsa: investiga-topo, medico claudicante, tonto imbroglione, moderno sociopatico, elegante violoncellista e così via… Cosa resta ancora da raccontare?
Gli spettatori che iniziano la prima puntata dello Sherlock russo, hanno l’impressione di poter prevedere l’andamento della trama, ma sono destinati a rimanere piacevolmente sorpresi. Seguiamo Watson (Andrei Panin), di ritorno dal fronte, attraverso le strade nebbiose di Londra (anche se, a dire il vero, siamo nei dintorni di San Pietroburgo) e ci aspettiamo di vederlo entrare nelle sale del San Bartholomew’s Hospital. Sbagliato! Il baffuto John compra una bottiglietta di Eau Jovial, pesta una cacca, inciampa in un cadavere e incontra un bizzarro detective. Niente male come inizio, eh?
Nel giro di qualche scena, diventa evidente che non possiamo dare niente per scontato. Mrs. Hudson deve essere quella dolce vecchietta, vero? No? Cosa sta succedendo? Noi lettori/spettatori tendiamo istintivamente a fare riferimento al Canone, ma, in questo particolare caso, non possiamo affidarci ciecamente al “verbo” di Doyle. La “realtà” che ci viene mostrata entra continuamente in cortocircuito con la finzione letteraria ideata dal grande scrittore inglese.
Il Canone è il cuore pulsante di questa serie: di puntata in puntata, assistiamo alla sua creazione o, meglio, alla sua “contraffazione”. Il presupposto di questo show è che John Watson, e non Arthur Conan Doyle, sia l’autore delle avventure di Sherlock. L’ex soldato trascrive gli strani casi in cui rimane coinvolto, ma, quando cerca di far pubblicare le sue avventure, si scontra con le esigenze del suo editore. Un romanziere non può limitarsi ad esporre la cruda verità: deve abbellirla per andare incontro ai gusti del pubblico.
Perché mai Watson dovrebbe abbellire i casi in cui rimane coinvolto? Cosa c’è di più affascinante delle indagini del mitico segugio di Baker Street? Beh, diciamo che il “suo” Holmes non è esattamente il distinto, seppur eccentrico, detective che abbiamo imparato ad amare. Non voglio guastarvi la sorpresa, quindi vi fornirò solo alcuni dettagli. Vi basti sapere che questo Sherlock (Igor Petrenko) è tutt’altro che perfetto:
“He’s a capricorn. He is an inspired, ambitious, and vulnerable creature” Mrs. Hudson
Il detective crede nella scienza, nella chimica, nella ragione e… nel buon cuore di Watson. Afferma di essere disposto ad anteporre il suo intelletto alla morale, si atteggia ad antieroe e cerca di soffocare le sue emozioni, ma, in realtà, è dannatamente nervoso e vulnerabile, specialmente quando Irene Alder è nei paraggi.
Il pubblico ha bisogno di un eroe, di un personaggio infallibile, non di un fragile, fallibile e sboccato essere umano. Watson, messo alle strette dal suo conto in rosso, è costretto a trasformare il suo coinquilino in un mito e ad “editare” tutte le sue avventure. Noi conosciamo il Canone, quindi ci basta prestare attenzione a un dettaglio rivelatore (una collana di perle, uno scambio ferroviario) o a un nome (Sholto, Arthur Cadogan West) per capire di quale storia ci stanno venendo mostrate le “vere” origini.
Questa serie è decisamente “meta” (non possiamo parlare propriamente di metaletteratura, ma piuttosto di metafiction). I dialoghi incentrati sull’attività di scrittore di John ci forniscono più di uno spunto di riflessione e ci invitano ad analizzare alcuni elementi chiave del genere giallo. Il vero eroe è il personaggio letterario o il suo creatore? Perché ci piacciono tanto queste storie sanguinose?
Di puntata in puntata, si verificano una serie di surreali cortocircuiti tra “realtà” e “finzione”. Per esempio, gli amici di Watson si lamentano continuamente dei loro poco somiglianti doppi letterari. Il più frustrato è, ovviamente, Sherlock. Per sviare le orde di adoranti lettori, suggerirà al suo caro Boswell di “ritrarlo” con le sembianze di un altro, ben più distinto, gentiluomo: il detective alto e dal naso aquilino non è lui, è un altro collaboratore della polizia.
Alla fine della fiera, ci rendiamo conto che Watson, come ogni autore che si rispetti, non è altro che un grande bugiardo. Lui stesso è decisamente diverso dal suo doppio letterario: è più sanguigno (non provocatelo, se non volete ritrovarvi con un occhio nero) ed è molto più brillante della sua “canonica” controparte, con cui condivide una cieca e incrollabile fiducia nel suo irritante ed esasperante coinquilino. John sa che quel geniale bastardo terrà l’Inghilterra al sicuro, almeno sinché Irene non gli manderà in cortocircuito i neuroni. Questa sì che è una grande amicizia.
Se siete dei fan di Sherlock e del suo Boswell, non dovreste lasciarvi sfuggire questa serie: la vecchia storia del detective di Baker Street può ancora riservarvi qualche sorpresa. Visto che mi piace cercare di essere il più obiettiva possibile, prendo congedo elencandovi alcuni punti di forza e alcuni punti deboli di The New Russian Holmes.
Cosa ho amato:
1. Tutti gli aspetti meta(letterari) legati alla rielaborazione del Canone: mi sono divertita a riprendere in mano l’opera di Doyle e ad osservare come è stata stravolta da Kavun. Se una serie ti spinge a leggere o a rileggere l’opera da cui è stata tratta, secondo me ha centrato il suo obiettivo.
2. Le easter eggs come il riferimento a Basil Rathbone
3. L’attenzione per il character development.
4. La decisione di dedicare un episodio (Rock, paper, scissors) al passato militare di Watson, concentrandosi sulle implicazioni del colonialismo e sul PTSD.
5. Gli sproloqui astrologici di Mrs. Hudson e i suoi tentativi di tenere testa ai due peggiori inquilini di sempre.
6. Un Lestrade più rude e minaccioso.
7. Il duello tra Sherlock e Moriarty nel settimo episodio.
8 Mycroft.
Cosa non mi ha convinta del tutto:
1. L’idillio parigino tra Irene e Holmes e le loro altre scenette smielate: preferisco uno Sherlock innamorato solo del suo lavoro.
2. La decisione di creare una Londra “farlocca”, invece di trasferire direttamente la scena nella bella San Pietroburgo.
3. Alcuni dettagli dei casi e alcune trovate non sono convincenti: l’arte della deduzione non è il punto forte di questa fiction.
4 L’episodio basato sul Rituale dei Musgrave.
5 Il titolo dell’ultima puntata non ha senso.
Per saperne di più:
La serie di articoli che il geniale e aristocratico blogger Aussie Mazz ha dedicato al Canone
Il fandom di The New Russian Holmes su Tumblr
P.S. Visto che nel primo post di questo blog mi sono presentata come uno Watson senza Sherlock, mi piaceva l’idea di “chiudere il cerchio” con un articolo dedicato a John. Direi che per Unreliablehero è giunto il momento di avviarsi verso le cascate di Reichenbach: ne riparleremo domenica.
Non avevo idea che esistesse questa reinterpretazione russa… Grazie per la recensione! ❤ Da brava fan di Sherlock (sia quello di Benedict che quello di Robert) me lo guarderò 😉
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Sono contenta che tu sia una fan di Sherlock ;). Se non lo hai ancora visto, puoi mettere in lista anche Miss Sherlock (anche Watson-Wato non mi convince del tutto) :).
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Grazie, lo segnerò! Mi piacciono le rivisitazioni di Sherlock, però fino a un certo punto. Per esempio, apprezzo la versione di Guy Ritchie, ma non mi piace per nulla quella di Elementary… 😉
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Neanche a me… 😉
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Sherlock mi piace (soprattutto quello della BBC), aggiungiamo che in generale amo il genere crime e le ambientazioni storiche. Darò sicuramente una possibilità a questa serie TV. Grazie per il consiglio.
PS: Mi preoccupa un po’ la storia delle cascate di Reichenbach. Spero tu ti riferisca a una pausa stagionale.
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Spero che si riveli all’altezza delle tue aspettative :).
P.S. Per una volta sono io a giocare con i cliffhanger ;).
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Non immaginavo che in Russia potesse aver mai prendere vita una mini serie dedicata a Sherlock Holmes e che addirittura potesse incontrare il tuo entusiasmo, visto che anche tu sei una grande fan.
Si sa nulla se questa serie può arrivare in Italia?
PS: Preoccupa, anche me (e tanto) la storia delle cascate di Reichenbach.
Benny il tuo blog è qualcosa che ci illumina sempre, non lo abbandonare.
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Mi è piaciuta, molto. Forse proprio perché è così inaspettata. Temo che in Italia certe serie non arriveranno mai :(.
P.S. A me sembra più che altro una lampadina fulminata XD. Ti devo lasciare con questo cliffhanger, ma, tranquillo, l’attesa non sarà lunga ;).
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Peccato che la serie non arriverà mai qui. 😦
P.S.: Lampadina fulminata …mmm… direi assolutamente di no. 😉
Spero proprio che possa essere una interruzione regalare a te un bel colpo di scena per la tua vita professionale, ma al tempo stesso mi auguro di smarrirti.
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Una serie russa! solo tu puoi scovare queste chicche… mi hai messo una bella curiosità, anche perché io non guardo di solito le fiction, ma questa rivisitazione del Nostro, la vedrei volentieri. Cos’è questa storia delle cascate di Reichenbach? Non fare brutti scherzi, neh!
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Vagando su internet mi imbatto in cose strane XD. Se ami il Nostro, non puoi perderla.
Ho detto Reichenbach, no? Si sa come va a finire quella storia ;).
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Mi pii commentare la bellezza di questo articolo, ma a “geniale e aristocratico” non ho capito più niente.
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*piacerebbe (ecco perché preferisco il pc al telefono).
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Ah ah XD.
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